«Parole mie che per lo mondo siete» L’Inferno di Dante raccontato e commentato in Lingua sarda

  1. “E qualcuno che sappia leggere Dante non si trova”. L’ultimo Nastro di Giovanni Boccaccio.

  2. “Tu vedrai le genti dolorose, / c’hanno perduto il ben dell’intelletto”.

  3. “Chi è costui che sanza morte / va per lo regno de la morta gente?”

  4. “Francesca, i tuoi martìri / a lagrimar mi fanno tristo e pio. / Ma dimmi…”

  5. “E poi quasi sdegnoso, mi domandò: Chi fuor li maggior tui”

  6. “E Guido ov’è? Perché non è teco?”

  7. “E per la mesta / selva saranno i nostri corpi appesi, / ciascun al prun de l’ombra sua molesta”

  8. “I’ son Beatrice che ti faccio andare: /vegno del loco ove tornar disio; / amor mi mosse, che mi fa parlare”

  9. “Lunga promessa con l’attender corto / ti farà triunfar ne l’alto seggio”

  10. “Non vogliate negar l’esperienza, / di retro al sol, del mondo sanza gente”

  11.  “E se non piangi, di che pianger suoli?”

  12. “La tua fortuna tanto onor ti serba, / che l’una parte e l’altra avranno fame / di te; ma lungi fia dal becco l’erba”

Lettera agli Attori di Lingua sarda
Cosa è dunque questa “Drammaturgia Radiofonica” offerta e declinata in Lingua sarda? Niente altro che un “esperimento” che tiene insieme due elementi “forti”: la “Commedia dantesca – di per sé esperienza di scrittura poetica di sconcertante problematicità ed ampiezza – con una Lingua “cristallizzata” ma suscettibile di variazioni e “varianti” come la Lingua sarda.
Con due pietre miliari – due diademi – che per me, non sardo, Lettore curioso e temerario, non esperto della Lingua sarda, hanno dischiuso il varco necessario per cogliere tonalità e sfumature dell’idioma insulare: mi riferisco, da un lato, al lavoro di Traduzione della Commedia in lingua sarda, originale e puntiglioso, che il gesuita Padre Paolo Monni portò a compimento nell’anno 2000: “Cantigos de s’Ifferru in limba sarda”, per le Edizioni La Torre nell’anno 2000. E, d’altro lato, per la Stanza numero Otto, dedicata a Beatrice – la Stanza che percorre l’itinerario giovanile del poeta della Vita Nova – la traduzione di Giulio Solinas per il libro Vida Nòa, Dante Alighieri in Berritta campidanesa, apparso nel 2017 per le edizioni Iges.
Sulla scena agiscono quattro Attori del Teatro di Sardegna desiderosi di generare una “finzione”, in omaggio e in celebrazione del Nome “Dante Alighieri” – Lia Careddu, Elio Turno Arthemalle, Rita Atzeri, Giovanni Carroni. Quattro Attori che – si badi bene – scelgono la Radio, non gli effetti speciali di televisione o cinema, come strumento di formazione e di comunicazione più adeguato a focalizzare il “verbo” dantesco.
Quattro Attori-cultori di Dante, che decidono di affabulare un’idea di Dante nella loro Lingua originaria, la Lingua sarda, recitando quindi i versi dell’Inferno prima nella Lingua del “volgare” italiano, stabilito da Dante, e poi nella traduzione-variante barbaricina.
L’esperimento, tuttavia, non si limita a questo: agli Attori interessa anche interpretare la possente “cosmologia”, poetica etica filosofica esistenziale teologica, dell’Inferno, interrogarsi solennemente sul senso letterale, simbolico o allegorico di questo o quel Canto, di questo o quel Personaggio.
Che significa, al tempo stesso, fare interagire la Lingua sarda con la solennità delle Terzine dantesche, a loro volta “sperimentali”, come sappiamo, nella costruzione poetica del Poema. Quindi, vagliare, verificare il gioco tra Rime possibili e Rime impossibili, constatare la dinamica della Lingua sarda nel dialogo serrato tra gli Attori, quando quella Lingua si fa “quotidiana” e gioca con le assonanze e le dissonanze. Non per caso gli Attori si soffermano, a volte, su alcune parole-chiave che Dante utilizza e che in Lingua sarda sono tradotte, declinate nelle possibili “varianti”: percorrere insomma la “crucialità” di una Lingua che si misura, si confronta “sperimentalmente” con le altezze dantesche, mostrandosi al contempo forte o debole nelle sue variegate, ineluttabili “differenze”.

Comunicato stampa 1
Un nuovo programma arricchisce il palinsesto radiofonico della sede regionale Rai della Sardegna. Da lunedì 17 a sabato 22 ottobre 2022, alle 13.25 su Radio 1 Rai, vanno in onda le prime sei puntate di Parole mie che per lo mondo siete, l’Inferno di Dante raccontato per la prima volta in lingua sarda, un programma in dodici “Stanze”, con testo e regia di Carlo Rafele, realizzato negli studi Rai di Cagliari.
Quattro attori del Teatro di Sardegna, che da anni progettano di portare sulle scene il “caso” Dante Alighieri, in occasione del Settimo Centenario dalla morte del “divin Poeta” decidono di imbastire un programma radiofonico sulla Commedia, letta, commentata e interpretata nella loro lingua di appartenenza: la lingua sarda. A partire da tale finzione narrativa, nasce e si sviluppa il confronto tra le Voci: nelle prime Sei Stanze gli attori Lia Careddu ed Elio Turno Arthemalle, nelle seconde Sei Stanze gli attori Rita Atzeri e Giovanni Carroni.
Il programma radiofonico non è solo una “Lectura Dantis” in lingua sarda ma anche una profonda riflessione riguardo temi e motivi generativi del poema, personaggi specifici, nodi critici e filosofici, che stanno dietro il più sontuoso e sconcertante affresco che la letteratura poetica di Lingua italiana abbia generato.
La prima puntata, lunedì 17 ottobre. «La Prima Stanza del ciclo sull’Inferno dantesco – spiega Carlo Rafele – è dedicata a Giovanni Boccaccio, grande lettore e interprete della Commedia, primo lettore-dicitore di Dante, così bravo a leggere e interpretare il Poema che il novelliere Franco Sacchetti, dopo la morte dell’autore del Decamerone, scriverà che non si trovava più nessuno che sapesse leggere Dante».
«Le Stanze Due e Tre (rispettivamente martedì 18 e mercoledì 19 ottobre) – continua l’autore-regista – affrontano lo “smarrimento” di Dante nella Selva infernale, l’apparizione di Virgilio inviato da Beatrice, l’ammirazione e la riconoscenza di Dante per Virgilio, ma anche la consapevolezza, da parte di Dante, di essere il “predestinato”, l’Eletto, di un Viaggio “impossibile”, oltre i confini dell’umana ragione. E saranno i Diavoli a sospettare della sua presenza: Chi è costui che sanza morte / va per lo regno della morta gente?».
Nella stanza quattro, la puntata di giovedì 20 ottobre, appare il personaggio di maggiore fama e popolarità: Francesca da Rimini. «Oggi la domanda è: chi è davvero Francesca? L’eterno simbolo della passione d’amore, dell’Amore che trionfa sopra ogni altro sentimento terreno, oppure la ragazza di provincia che si esalta leggendo le avventure amorose di Lancillotto e Ginevra e vuole imitarle ad ogni costo?».
Nella Stanza Cinque, in onda venerdì 21 ottobre, Dante incontra nel Sesto Girone Farinata degli Uberti, il prode condottiero-comandante ghibellino – quindi di parte avversa a Dante – protagonista della vittoria della Battaglia di Montaperti del 1260. «Il dato per me interessante – sottolinea Rafele – è che Farinata non riconosce Dante, né si preoccupa eccessivamente se quel pellegrino percorre l’Inferno da persona “viva”. A Farinata importa una sola cosa: capire se quello sconosciuto viaggiatore ha le giuste credenziali come cittadino di Firenze e quindi come “interlocutore” a cui narrare le prodezze delle sue vittorie. Ma è dalla voce di Farinata, tuttavia, che Dante apprende l’amara sorte dell’esilio cui sarà destinato».
La Stanza Sei, a chiusura della prima parte del programma, sabato 22 ottobre, è dedicata a Guido Cavalcanti, negli anni giovanili definito “lo primo de li miei amici”: mentre Dante è a colloquio con Farinata, un’ombra si intromette e chiede di parlare con lui. Quell’ombra è Cavalcante de’ Cavalcanti, il papà di Guido, il quale si mostra triste e sgomento perché non vede il figlio in compagnia di Dante: Guido ov’è? E perché non è teco?. E Dante risponde – spiega Rafele – che se Guido non è con lui, se a Guido non è stato consentito di fare “quel viaggio”, lo si deve a “Colui” che Guido “ebbe a disdegno”, cioè che Guido disprezzò. E di chi si tratta? È Virgilio? È Beatrice, vista come donna-teologia? Oppure è Dio stesso?».

Comunicato stampa 2
Riprende domenica 29 gennaio 2023, ore 09.05 (ascoltabile anche su Rai Play Sound) la messa in onda di “Parole mie che per lo mondo siete. Raccontare l’Inferno di Dante in Lingua sarda”, il programma in dodici “stanze” scritto e realizzato da Carlo Rafele negli studi Rai di Cagliari. Quattro attori del Teatro di Sardegna, che da anni progettano di portare sulle scene il “caso” Dante Alighieri, in occasione del Settimo Centenario dalla morte del “divin Poeta” decidono di imbastire un programma radiofonico sulla Commedia, letta, commentata e interpretata nella loro lingua di appartenenza, scegliendo come traduzione di riferimento “Cantigos de s’Ifferru in limba sarda” di Padre Paolo Monni, pubblicata nell’anno 2000. A partire da tale finzione narrativa, nasce e si sviluppa il confronto tra le Voci: nelle prime Sei Stanze gli attori Lia Careddu ed Elio Turno Arthemalle, nelle seconde Sei Stanze gli attori Rita Atzeri e Giovanni Carroni.
Domenica si parte dalla Stanza 7: Dante e Virgilio percorrono l’orribile e desolante sabbione dei suicidi, imbattendosi nel tragico destino di Pier Della Vigna, consigliere particolare di Federico II di Svevia, accusato dai cortigiani del Re di tradimento, condannato per legge di contrappasso a trasformarsi in uomo-pianta, anima imprigionata nel ramo di un albero, da cui escono non solo gemiti ma sangue e voce: “Uomini fummo e ora siam fatti sterpi”, dirà, pregando Dante di confortare la sua memoria se mai ritornerà nel mondo.
La Stanza 8, in onda domenica 5 febbraio, sempre alle ore 9.05, è dedicata a Beatrice, la donna che soccorre il pellegrino Dante smarrito nella Selva del male e dell’errore, affidando a Virgilio, maestro di conoscenza, il compito di guidarlo nell’ascesa verso l’Eden. Figura depositaria della “verità”, che collega e congiunge saldamente le due “vite” di Dante, le due “Autobiografie”: il Dante della Vita Nuova con il Dante della Commedia. Tutti i riferimenti danteschi, per questa Stanza, sono estratti dal libro Vida Nòa, Dante Alighieri in Berritta campidanesa, che si avvale della traduzione in lingua sarda campidanese di Giulio Solinas, apparso nel 2017 per le edizioni Iges.
La Stanza numero 9 – in onda il 12 febbraio – suggella l’ingresso nello spazio di Malebolge, il più vasto e articolato scomparto infernale dove dimorano i fraudolenti, coloro che nel vizio mostrarono accanimento, annullando la somiglianza con Dio, sfigurando e disfacendo valori e virtù, come accadrà a Guido da Montefeltro, comandante ghibellino ritiratosi in preghiera, che diverrà suo malgrado consigliere fraudolento, raggirato dall’astuzia di un altro, non secondario, “protagonista”, ovvero Bonifacio VIII, il Papa corruttore.
La Stanza numero 10, prevista per domenica 19 febbraio, ore 9.05, è interamente dedicata a un campione assoluto di eroismo e di astuzia guerriera: Ulisse, il prode Ulisse, che Dante colloca, incredibilmente, nelle bassure infernali, chiedendogli di raccontare quale fu la causa della sua morte, “dove perduto a morir gissi”. E Ulisse pacatamente cesella in pochi versi l’atto di superbia di cui fu attore-protagonista: convincere i suoi compagni, “vecchi e tardi”, a seguirlo fino allo Stretto di Gibilterra, dove Ercole “segnò li suoi riguardi”, stabilì i confini della Terra, il segnale del limite invalicabile. E quando ai loro occhi appare una Montagna di altezza spropositata – la Montagna del Purgatorio – Ulisse chiede ai compagni di non tornare indietro ma “divenir del mondo esperti”, quindi di affrontarla per tentare l’impresa che a nessun essere umano è riuscita: andare a vedere cosa si nasconde “di retro al sol”, nel “mondo sanza gente”. Proposito folle che conduce al naufragio, al “folle volo”, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso”.
Stanza 11: Conte Ugolino della Gherardesca. Domenica 26 febbraio il racconto si accende sopra una delle storie più crudeli e malvage che il Pellegrino Alighieri si trova a fronteggiare: fatto prigioniero dai ghibellini, accusato di tradimento, rinchiuso insieme a figli e nipoti nella Torre della Muda, il Conte Ugolino parla a Dante di colui che lo tradì e lo fece condannare a morte, l’Arcivescovo Ruggieri, del cui cranio egli si ciba bestialmente, allo scopo di infamarlo per l’eternità, raccontando “come la morte mia fu cruda”, per colpa di quest’uomo, del “traditor ch’i’ rodo”, “su traittor chi m’est in dente”.
Infine la Stanza 12, domenica 5 marzo, ore 9.05, che vede tre grandi figure alternarsi nel racconto, la prima delle quali è una statua colossale, ciclopica, chiamata Veglio di Creta, collocata esattamente a metà del cammino che separa l’Oriente, sede delle antiche civiltà, dalla Roma moderna, centro del mondo latino, di cui Dante è contemporaneo. Una figurazione allegorica che a molti commentatori è parsa simboleggiare le diverse età della storia dell’uomo.
Quindi l’attenzione si volge verso il Principe degli abissi infernali, Lucifero, “lo ‘mperador del doloroso regno, il cui corpo conficcato nella superfice della Terra, confitto al centro della ghiaccia di Cocito, pare a Dante un mulino a vento osservato da lontano, immerso nell’opaca nebbia di una notte invernale. “Con sei occhi piangea, e per tre menti / gocciava ‘l pianto e sanguinosa bava”. Una macchina disumana senza parola né vita, la cui visione provoca sgomento: “Io non mori’ e non rimasi vivo”.
Ultimo, un grande protagonista dell’epopea dantesca, uno dei maestri di Dante: Brunetto Latini, celebrato intellettuale fiorentino, illustre Grammatico e maestro di Retorica, autore dell’opera denominata “Trèsor”, “Gran Tesoro”, scritta in francese antico, una sorta di Enciclopedia del sapere storico scientifico filosofico e politico del Medioevo. Sarà Brunetto, a cui è data la possibilità di vedere “dinanzi quel che ‘l tempo seco adduce”, di prevedere ciò che Dante non può ancora sapere – a profetizzare l’amara verità: il tuo popolo, il popolo fiorentino, invidioso e ingrato, maligno e malvagio, sarà tuo nemico, opererà per umiliare il tuo agire, entrambe le parti – i Bianchi e i Neri – saranno crudeli e irriconoscenti, vorranno sbranarti, ma il loro becco non riuscirà a ghermire la tua persona.

Autore letterario, drammaturgo, regista, Carlo Rafele ha scritto e realizzato per la Rai numerosi programmi a partire dai primi anni ’80. Nella Sede Rai di Cagliari, a partire dal ’97, ha registrato i seguenti programmi: La cultura italiana del Secolo Ventesimo: alcuni fatti precisi. Da Renato Serra a Giacomo Debenedetti (52 puntate); Il mito della macchina. Ricostruzione futurista dell’universo (10 puntate); Narrate, uomini, le vostre storie (10 puntate); L’identità italiana (10 puntate). Nel 2019, è stato autore e regista del radiodramma Giaime Pintor, una giovinezza pallida e furente (6 puntate). (Il Blog di Carlo Rafele: www.carlorafele.it).

 

 

 

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