Jean-Luc Godard: «Jean-Marie Le Pen chiese la mia espulsione dal territorio francese»

Alfabeto 1987
La scommessa impossibile di Michel Hazanavicius (2017)

Inedito in lingua italiana, l’Alfabeto-Atlante composto nell’anno ’87 per Le Nouvel Observateur riproduce sostanzialmente il quadrante di riflessioni percezioni sensazioni che Godard si trovò a fronteggiare durante il soggiorno americano dell’anno prima, quando su invito del produttore Tom Luddy e di Gilles Jacob, direttore del Festival di Cannes, accetta di incontrare l’attore-regista Woody Allen nella sua casa di New York e girare il film-video di un confronto-discussione sul tema “Che cos’è il cinema“. Ne scaturirà un prodotto esilarante, un clamoroso atto mancato, nato dalla convinzione che tra il più eversivo dei registi europei e il più caustico dei registi americani fosse possibile far scaturire una solidale e avveniristica visione del cinema e del mondo… accertando al contrario che non vi era alcuna radice comune o comunità di intenti, trattandosi di viaggiatori orbitanti in galassie distanti e separate: interlocutori perfidi e inutilmente astrusi come due sopravvissuti di una pièce di Samuel Beckett.
Al contempo, questi sono i giorni in cui il Festival Internazionale del cinema di Cannes ospita in competizione Le redoutable, film di Michel Hazanavicius, regista già noto al grande pubblico per The Artist, vincitore di cinque premi Oscar nel 2012. Film dedicato al Godard cineasta-protagonista degli anni delle lotte operaie e studentesche culminate nel Maggio ’68, evento di cui aveva saputo prevedere la portata “rivoluzionaria” nei due film concepiti e girati l’anno precedente: Week-end e La Chinoise.
Anni lunghissimi per Godard, anni dominati dal principio di realtà, di messa a nudo delle contraddizioni del Soggetto-Io, annullato e disperso nell’idealità del “collettivo” socio-politico; gli anni dei film girati e firmati in stretta collaborazione con Jean-Pierre Gorin, della nascita del Gruppo Dziga Vertov e dell’amore-comunione con Anne Wiazemsky, la ragazzina che studia filosofia a Paris Nanterre, allevata da uno zio ingombrante e cattolico nonché premio Nobel per la letteratura, François Mauriac.
Sono anche gli anni di feroce accanimento su principi inderogabili, con la regola unica del “niente dev’essere come prima”: modificare radicalmente forme e linguaggi, rivoltarsi contro ogni barlume di convenzione e di passatismo. E Godard non esiterà a prendere di mira anche se stesso, ripudiando le opere della geniale giovinezza, i film considerati sacre icone dell’evoluzione dell’arte cinematografica: Le mépris, Une femme mariée, Alphaville, Pierrot le fou, Made in USA. Ciò che ispirerà al critico Michel Cournot la felice formula “Jean-Luc ex-Godard“. 
Tuttavia, la “scommessa” tentata da Hazanavicus muove nella direzione opposta all’uso – il buon uso, le Bon Usage – che Godard gradirebbe si facesse della sua vita e della sua opera. Già in guerra sistematica con gli storici-biografi che negli ultimi anni hanno “preteso” di circoscrivere in un Libro la molteplicità della sua esperienza di uomo e di cineasta (Colin Mac-Cabe, Richard Brody, Antoine de Baecque), non è difficile immaginare il rifiuto che Godard oppone a chi tenti di tradurre in immagini la sua avventurosa esistenza, utilizzandola come soggetto-oggetto di finzione, caricandola di voci movimenti e dialoghi, facendola occasione-pretesto di sceneggiatura, con tanto di Attore-Anàlogo che dovrebbe mostrarlo e interpretarlo (Louis Garrel).
Come sanno i godardiani militanti, Godard è nemico “storico” dei linguaggi diretti, spiattellati o gridati: rifiuta la regolare cronologia della forma-racconto, predilige la poesia come causa, origine o “collante” dei legami strutturali tra i fenomeni; se dovessi indicare alcuni modelli letterari francesi che stanno alla radice del suo cinema, pronuncerei i Nomi di Stéphane Mallarmé, Isidore Ducasse Lautréamont e Marcel Proust, oltre al più evidente Louis-Ferdinand Céline: modelli sofisticati di un lucido e pervicace ermetismo del rapporto autore-lettore, autore-spettatore.
In tal senso, come si può arguire, mai Godard utilizzerebbe o prenderebbe per sé un termine  come “redoutable”, che in italiano sta per “terribile” o “formidabile”, parola che curiosamente compare anche per due volte nella pagina introduttiva della pregevolissima e documentata Biografia scritta da Antoine de Baecque nel 2010.
E mai Godard sottoscriverebbe la Bande-Annonce promozionale, visibile in questi giorni sul Web, dove il regista di À bout de souffle viene “descritto” con un filotto di aggettivi da cui si dissocierebbe con terrore: “inclassificable, iconoclaste, génial, gauchiste, visionnaire, méprisant”.
Il cineasta che si è ostinato a parlare per enigmi anagrammi astrusità allegorie camuffamenti simulazioni, false direzioni e falsi intrattenimenti, a cui già il termine “ambiguità” apparirebbe fin troppo esplicito, ha più volte ripetuto ai biografi una precisa “preghiera”: dispensatevi dal mettere sotto indagine il mio “io” o il “sé” del mio Io: l’Io-Godard che cercate non si trova e non deve essere cercato, c’è soltanto l’Opera, un’opera cinematografica che non è riconducibile né a una persona né a una personalità.
Del resto, basta scorrere alcuni titoli della sua immane filmografia – 142 opere – per constatare che l’appartenenza dell’Io-Godard al catalogo dei “personaggi” si offre esclusivamente come atto di ostinata dissimulazione: la foto ingiallita del bambino in JLG/JLG, il lucido Idiota del Re Lear, il supponente “pazzo” che si interna per volontà propria nell’ospedale Pasteur in Prénom Carmen. Tracce di una ipotetica “appartenenza” che lo stesso Godard probabilmente distruggerebbe e disconoscerebbe se si accorgesse che qualcuno tenta di utilizzarle per volontà celebrative.
Chi cerca Godard per dipingere “storia” o ancor peggio “storiografia”, sappia che non potrà trovarlo. C’è poi, vivente, sul Lago Lemano, in un piccolo borgo svizzero-francese chiamato Rolle, un uomo che si chiama Jean-Luc Godard, fuma sigari, porta a passeggio un cane, divide le giornate con una donna fotografa-regista che si chiama Anne-Marie Miéville… E che, se fermato per strada e interrogato sul cinema, su che cos’è il cinema, forse risponderebbe che di un regista chiamato Godard non sa nulla ma che del cinema, della storia del cinema ha bellissimi ricordi: “C’era il teatro (Griffith), la poesia (Murnau), la pittura (Rossellini), la danza (Ejzenstejn), la musica (Renoir)… poi è arrivato Ingmar Bergman: meno male che ci pensa il cinema a custodire la bellezza”.

AMERICANI
Io spesso dicevo: “Che peccato che il cinema non sia insegnato nelle università”. Non mi hanno dato retta, poi lo hanno fatto negli Stati Uniti. Così sono nate creature per metà mostruose e per l’altra metà stupide: i Coppola, gli Spielberg… Il più rivoltante, che inizialmente avevo apprezzato, è Brian de Palma. Soltanto Cassavetes non appartiene a questa razza, lui infatti ha pagato di persona. Gli Americani dicono: “Siamo molto onorati di averla qui, M. Godard”. E io rispondo: “Mi dareste dieci dollari?”. Loro si mettono a ridere. C’è stato però uno che i dieci dollari me li ha dati davvero: Mel Brooks. Ha detto: “Of course“. E abbiamo riso.

APPRENDERE
Spesso le persone che mi incontrano dicono: “M’sieur Godard, a me piacerebbe…”. Chissà cosa immaginano! Io ho impiegato 10-15 anni per capire che cosa accadeva lì dentro. Prima rispondevo così: il cinema è una foto e una penna. Li trovate facilmente, qualcuno le ha già inventate. Oggi c’è una tale quantità di materiali video che… vi conviene cominciare a filmare la vostra vicina di casa.

ARTE
C’è stato un momento in cui il cinema era un’arte vera, a cui il pubblico aveva accesso in maniera semplice chiara netta perché passava dagli occhi. La musica non è mai stata così. Beethoven diventa Madonna, Steve Wonder dura dieci anni, dopo di che si dice: “Ha fatto il suo tempo”.

BURLESQUE
Un genere che ho sempre amato. Uno dei più grandi artisti contemporanei è Jerry Lewis, sebbene del valore degli ultimi film nessuno se ne sia accorto. Nel suo paese non è mai stato riconosciuto. Si preferisce il comico in televisione ma la televisione non ha niente a che vedere con la comicità o l’umorismo di Swift, di Brecht, dei Surrealisti o di Coluche.

CAMERA
Se fabbricassero ancora apparecchi da ripresa come si faceva negli anni ’20, ne comprerei un esemplare. Ho anche tentato in passato di fabbricare con le mie mani una macchina da presa, ci ho lavorato dieci anni ma non sono riuscito. Non si può fare da soli.

CIMINO
Sono invidioso del suo successo. Se me lo facessero notare, direi: sì, è vero, sono invidioso. Perché non è possibile spendere tanto denaro, come capita a lui e al suo cinema. Non si può fare un film come Il siciliano con 40 milioni di dollari. Bisogna saperlo fare sia con 800 milioni che con una cifra di molto inferiore. Ho l’impressione che nei film di Cimino una quota del budget sia devoluto ai guidatori delle Limousine.

CINEMA
Forse il cinema non è mai stato fatto. A me è parso, quando ho visto il cinema muto, che tutto nel cinema era stato già compiuto. E’ stato come scoprire d’improvviso cinque secoli di pittura. Una convinzione che ha resistito fino a Pierrot le fou. Mi dicevo: Cosa posso fare d’altro se io stesso ho fatto tutto? Poi il Maggio ’68 ha contribuito a fare il vuoto. Oggi so che tutto è stato fatto ma allo stesso tempo che tutto rimane da fare. Tuttavia, invecchiando, so che il “tutto da fare” non sarà mai fatto.

CRISI
C’è sempre stata crisi nel cinema francese. Se ne parlava già nelle riviste del 1914, ma oggi c’è una crisi tipicamente francese, perché le persona dai 30 ai 50 anni non hanno più voglia di andare al cinema. Si sentono deprivati, defraudati da quella forma di spettacolo cinematografico di cui i loro genitori avevano goduto fino al ’45. Mancano quei film di qualità “media”, che si offrivano come elementi di comunicazione collettiva e su cui era facile dire bene o male.

CRITICA
E’ difficile parlare bene o male del teatro di Beckett. Invece di un film come Les visiteurs du soir (“L’amore e il diavolo”) di Marcel Carné si può subito dire: “Oh la là che esagerazione! Che roba è questa?”. La fornaia all’angolo della strada non vi darà mai un giudizio simile su Beethoven, lo darà invece su un film di Resnais. Sente che ha il diritto di farlo. Perché il cinema è una “visione”, un accesso diretto. Tutti hanno nella loro vita una visione. C’è una lotta perenne tra il dire e il vedere, un po’ come tra Israel e Ismael.

CULTURA
Il cinema non è cultura, la musica non è cultura. Cultura è la televisione. La televisione non fa che veicolare cultura. Gli individui ne hanno bisogno, sentono la mancanza di cultura. Non possono trovarla nei libri, perché leggere libri comporta un lavoro. E le persone lavorano già otto ore al giorno, in condizioni inverosimili.

DOCUMENTARIO
Ciò che nel cinema è scomparso è il documentario. In televisione si fa fiction, ma in forme perverse. Se io fossi insegnante racconterei agli studenti che il cinema all’inizio era “documentario”. Con Meliès e Lumière. Entrambi credevano di fare ciò che faceva l’altro. Quando Lumière filmava una partita a carte o la pappa del bebé sul seggiolone creava per il suo secolo più finzione di quanto potesse farne Meliès con il suo Voyage dans la lune. Lumière era vicino a Proust. Infatti, se si volesse fare della Recherche un libro illustrato, occorrerebbe rifarsi a Lumière.

ÉCRIRE/SCRIVERE
Vorrei scrivere dei libri ma so che non riuscirò, morirò prima. Il fatto è che la scrittura mi genera un preciso sentimento di inferiorità, ciò che verso il cinema non mi accade.

ÉCRIVAINS/SCRITTORI
Parola da usare per scrittori veri come William Faulkner, Marguerite Duras o lo stesso Raymond Chandler. Chandler diceva: “Se si fuma o se si beve, bisogna farlo seriamente, con passione, perché è ancora e sempre romanzo” (lui beveva come un pazzo). Al contrario, se Paul-Loup Sulitzer fuma o va a pranzo da Boffinger mentre scrive un romanzo, la circostanza non ha rapporto con il suo romanzo ma soltanto con il marketing del libro. Sulitzer non è uno scrittore ma un fabbricante di libri, non dissimile da un fabbricante d’armi.

EUROPA
L’Europa non si farà mai, altrimenti si sarebbe già fatta da chissà quanti anni. Forse se cadessero due o tre bombe atomiche… sì che si farebbe! Se fossero distrutte Berlino, Roma, Parigi… finora la scelta è caduta su Berlino. Se avesse voluto fare l’Europa, Jean Monnet avrebbe dovuto chiedere al presidente Truman di far cadere una bomba atomica anche su Parigi. Ci sarebbe stato un gran putiferio per un anno o due, poi si sarebbe detto: Non è mica fesso quel tipo.

EXTRATERRESTRE
Io finirò per sentirmi in tutto e per tutto un extraterrestre.

FEMMES/DONNE
Non ci sono più grandi ruoli femminili perché si è voluto privilegiare il pubblico giovane. Io però non riesco a sbarazzarmi dell’immagine della giovane donna, come la scoprii nella mia famiglia o nei primi romanzi che ho letto, Proust piuttosto che Flaubert. Per me Madame Bovary aveva 25 anni, non ho mai capito che ne aveva 40.

FILM
Tutti i film in generale, a partire da Guerre Stellari, raccontano di due o tre persone che passano da una stanza in un’altra stanza. E poi nient’altro, il film è finito.

FRANCE
La Francia è una nazione che conta niente ma parla molto, ciò che la rende una grande potenza, riconosciuta dagli altri Paesi. In un Consiglio dei ministri, la signora Thatcher deve chiedere a Mitterand: “Bene, ora diamo la parola al presidente che non conta niente ma sa parlare bene. Monsieur Mitterand ci dirà cosa pensa del problema X, io lavoro tutto il giorno e non so esprimermi così bene”.

GRAND FILM
I soli veri grandi film, i bellissimi film unanimemente considerati tali dalla critica e dal pubblico, non sono trentasei, sono due: Nascita di una nazione e Roma città aperta. E sono due film di guerra, il primo ultra-ricco, l’altro ultra-povero.

GRIFFITH
Nella sua epoca, i film si giravano in una bobina di 1000 dollari. Poi si sono detti: “Per Nascita di una nazione facciamo un film con cento bobine, per 10 milioni di dollari”. È come se oggi per fare Apocalipse now un regista chiedesse non 40 milioni di dollari ma 4 miliardi. Se si dessero quei soldi a Coppola o a me, ci compreremmo macchine, case, belle donne. Rimarrebbero quattro soldi per fare il film. Griffith ha fatto Nascita di una nazione. Con le briciole, poi, ha girato Intolerance.

GUERRA
Un francese non comunica con un tedesco, tranne che con la guerra. Io capisco che ai ragazzi piace la competizione dura, ma la guerra non la capisco. È talmente facile battersi e colpire con le parole. Ma la guerra, tutta questa tecnica: un mistero.

INTERVISTA
Ci sono momenti, dopo aver girato un film, che accetto di farmi intervistare. Anche perché nel cinema, a parte una o due persone un po’ funamboli, c’è un silenzio di tomba.

ITALIA
L’Italia non ha più il cinema e se ne fotte. Il sentimento degli italiani di essere geniali non è stato intaccato.

JEUNES/GIOVANI
Conosco poco e male i giovani cineasti francesi. Besson, Arnaud, fanno un cinema “medio”, è per questo che vanno bene. Mentre Carax non è a suo agio in tale compagnia. Soffre, non osa essere marginale, non osa allargare il campo della marginalità.

LE PEN
All’epoca de Le Petit Soldat (1960), Jean-Marie Le Pen ha chiesto a Michele Debré la mia espulsione dalla Francia. Questo ci fa sentire giovani.

MAILER
È una star americana, ha paura dell’immagine. Non mi ispira fiducia. È un discendente di Jack London, i suoi libri migliori sono scritti con i morti. Ha avuto bisogno dei morti di guerra e di un condannato a morte. Il Chant du bourreau è il suo libro più bello. Ma il suo libro più onesto è il libro sull’Egitto. Forse sono il solo ad averlo letto per intero. Una specie di sottoprodotto di Sartre ma fatto bene. Se dovessi sostenere la sua causa o favorire il suo ingresso tra gli scrittori, davanti a una giuria presieduta da Marguerite Duras, direi: “Cara signora, Mailer ce l’ha fatta. E i morti lo hanno giudicato. Gli hanno detto: Norman, tornatene ora nel tuo Kentucky”. A parte queste considerazioni, Mailer guadagna 250.000 dollari per due ore di riprese.

MALLE
Un bravo ragazzo, non molto dotato ma che sa far bene il suo lavoro. Il cinema per lui è un’attività culturale. Se dovessi dire qualcosa a suo favore, anche se lo valuto un cineasta di media grandezza (in letteratura sarebbe stato un imitatore di Antoine Blondin), direi che nel suo cinema si sente la mano di chi è nato documentarista. E questa è una buona cosa. Poi, soprattutto, dà l’idea di essere un uomo felice, mentre a me questo non è mai riuscito.

MEMORIA
Spesso, quando si gira un film, ci si dimentica della metà delle cose.

MONTAGGIO
C’è un’inquadratura prima e un’inquadratura dopo. Ma tra le due inquadrature c’è un supporto, un sostegno: questo è il cinema. Si vede prima un ricco, poi si vede un povero: si determina un accostamento, un avvicinamento. Il giusto atto è avvicinare. L’equilibrio viene dopo. L’idea stessa del montaggio è saper “bilanciare” le immagini.

MUTO
La mia tesi è che la “parola” del cinema muto fosse più potente della parola del cinema parlato. Occorreva quindi ridurla. È accaduto all’epoca del New Deal, di Roosevelt e di Hitler. Il cinema parlato era pronto fin dalle prime proiezioni del cinema muto. Gaumont aveva già i suoi apparecchi. Ma il pubblico ha scelto il muto contro il parlato. A Parigi alla prima proiezione del cinema parlato, il pubblico non è venuto.

NOUVELLE VAGUE
La Nouvelle Vague è nata da Jean Painlevé, da Rouch e da Rossellini. È nata dal documentario. À bout de souffle è figlio sia de L’Hippocampe di Painlevé che di Roma città aperta.

PUBBLICO
Manca. Gli spettatori di cinema sono pochi. Il direttore della mia Agenzia di viaggio mi dice: “Io vado a vedere i suoi film perché lei compra da me tanti biglietti”. Ma ho la sensazione che vorrebbe dire: “I suoi antenati facevano film migliori”.

RÊVE/SOGNO
Io andrei a seguire volentieri un corso serale sui sogni, se ci fosse. E decreterei per la scuola obbligatoria due ore a settimana dedicate al sogno. Purtroppo, oggi Freud è un tabù, molto più che nella sua epoca. Einstein non è un tabù, Picasso nemmeno. Tutti sognano, tutti vorrebbero trarre vantaggio dalla comprensione dei sogni.

SARTRE
Parlando ieri con Marguerite Duras, cercavo di difendere Sartre, che lei detesta, così come io detesto Spielberg. Le dicevo: “Non è uno scrittore, d’accordo, ma io lo difenderò sempre perché è stato lui che mi ha guidato alla scoperta della letteratura. Non sono i tuoi libri, sono i suoi”. Infatti, è Sartre che mi ha fatto scoprire i libri della Duras. Forse scrive male, forse è un pessimo insegnante. Ma se fosse un traditore a farmi conoscere la libertà? Se è da un transfuga che scopro la possibilità di evadere? E poi, quando Sartre è morto, la gente piangeva nelle strade di Parigi.

SOIGNE TA DROITE/CURA LA TUA DESTRA
È il titolo del mio ultimo film, che esce il 30 dicembre. Non c’è niente da comprendere. Da “prendere” sì. Però “comprendere” rimane una bellissima parola. Un film oggi lo si deve “comprendere”, cosa che non era prevista ai tempi del cinema muto. Quando sento un disco di Madonna, non capisco le parole, ma questo non significa che non comprenda il disco.

SPIELBERG
Se costui corresse i cento metri, sarebbe in competizione ai Giochi Olimpici di Fontainebleau, non certo alle Olimpiadi di Roma.

SVIZZERA
È un paese che si impantana e si avviluppa su se stesso. Ma poiché oggi non c’è vera comunicazione, le persone finiscono per impaludarsi e ogni nazione diventa una Svizzera. La Svizzera rischia di avere un problema se tutti i paesi diventano come lei.

TECNICA
L’arte sarà sempre Dr Jekyll ma la tecnica è Mr Hyde. Jekyll ha bisogno dell’alleanza con Hyde, ma Hyde se ne fotte di Jekyll. Questa è la tecnica, oggi.

TELEVISIONE
La televisione è la nostra proprietaria, la nostra maestra, il nostro principe. Noi siamo lavoratori dei campi, siamo contadini che devono portare al principe il raccolto. Perché i giornali pubblicano ogni giorno gratuitamente i programmi televisivi invece degli orari dei treni? È sorprendente.

VAN GOGH
Van Gogh non può essere visto. Ce l’ha in casa un miliardario giapponese. E quando i suoi quadri arrivano al Museo, la gente si mette in fila per vederli, come se andasse a visitare una Cattedrale, per motivi religiosi. Se Van Gogh fosse esposto nei caffè, pochi lo guarderebbero.

(Le Nouvel Observateur n 1206, 12-24 dicembre 1987)

(Maggio 2017)

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