Articoli scritti da Carlo Rafele

2019: l’anno di Giaime Pintor Una giovinezza pallida e furente

«Senza la guerra sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari, avrei discusso i problemi dell’ordine politico, ma soprattutto avrei cercato nella storia dell’uomo solo le ragioni di un profondo interesse, e l’incontro con una ragazza o un impulso qualunque alla fantasia avrebbe contato per me più di ogni partito o dottrina»

Perché non possiamo dirci artisti

Se ponessimo accanto alla parola filosofia la parola teatro, il finale heideggeriano apparirebbe così: «La filosofia (il teatro) si mette in moto soltanto attraverso un particolare salto della propria esistenza dentro le possibilità fondamentali dell’esserci nella sua totalità; quindi il lasciarsi andare al niente, cioè il liberarsi dagli idoli che ciascuno ha e con i quali è solito evadere…

“Casa d’altri”, Silvio D’Arzo, il racconto perfetto, la regola del Dio inutile

La Guerra è finita, il Tragico può avere inizio. È suonata la campana del Dopoguerra nella landa desolata di un minuscolo borgo dell’Appennino tosco-emiliano chiamato Montelice, dove le vite sono ridotte a parvenze, “gli uomini sono ai pascoli e non tornano prima di notte, le donne fanno legna qua e là, e nevica e piove,…

Jean-Luc Godard: «Jean-Marie Le Pen chiese la mia espulsione dal territorio francese»

Inedito in lingua italiana, l’Alfabeto-Atlante composto nell’anno ’87 per Le Nouvel Observateur riproduce sostanzialmente il quadrante di riflessioni percezioni sensazioni che Godard si trovò a fronteggiare durante il soggiorno americano dell’anno prima, quando su invito del produttore Tom Luddy e di Gilles Jacob, direttore del Festival di Cannes, accetta di incontrare l’attore-regista Woody Allen nella…

Roberto De Monticelli e l’identità del critico teatrale

«L’attore italiano non sa più come definirsi. Non è, la sua, un’angoscia nominalistica, non è più questione di parole o di formule. È proprio l’immagine di sé che gli è, paradossalmente, ignota; o che gli si è andata oscurando e confondendo, sfumando in una serie di altre possibilità, apparenze, ipotesi e funzioni, man mano che egli acquistava – sembra una contraddizione ma non lo è – una sempre maggiore consapevolezza critica del proprio lavoro e del potere che, nella società, gliene deriva»

A Giacomo Debenedetti da Elsa Morante

Mi scusi, caro Giacomo, questo lungo discorso, che forse, nella sua vanità, vorrebbe infine servire a un altro scopo. E cioè: ricordo le sue parole: che il solo romanzo che a Lei sembri lecito, nei tempi odierni, il romanzo-saggio. Non so ancora se Lei perdona a questo mio romanzo, di non essere un saggio. Se cioè Lei crede che sia legittimo, o no, avere scritto una storia simile…